Gastronomia e story telling, un binomio da cancellare

Capetoste
3 min readJul 28, 2021

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Scagli la prima pietra chi è senza peccato.

Chiariamoci subito, anche io ho peccato, ma la pietra la voglio scagliare lo stesso:

Lo story telling gastronomico ha davvero rotto le palle.

A questo punto potresti anche smettere di leggere e passare ad altro, il concetto fondamentale di questo post l’ho già espresso.

Se invece vuoi capire il perché di questo sfogo, resta con me per qualche altro minuto.

La nascita dei social network, e di Instagram in particolare, ha segnato uno spartiacque epocale nelle modalità del passaparola “gastronomico/culinario”.

C’era un tempo, ormai lontano, in cui le persone decidevano di far visita a questo o a quel ristorante perché “se ne parlava bene”.

Raramente si conosceva il nome dello chef e si aveva un’idea piuttosto vaga dei piatti che preparava. Ci si fidava del consiglio dell’amico o conoscente che aveva già fatto quell’esperienza e ci si lasciava guidare da una genuina curiosità fino a che non si metteva piede nel locale.

Ad un certo punto, qualcuno ha cominciato a fotografare il piatto che stava per mangiare per poi condividere orgoglioso lo scatto sui social network.

Queste genere d'immagini riscuotevano un inaspettato successo (leggasi “like”), tanto da scatenare la curiosità delle persone nel capire in che posto era stato l’amico la sera prima a cenare.

Da questo momento in poi, la foto su Instagram diventò uno dei principali veicoli promozionale per i ristoratori, ancora inconsapevoli della tempesta che di li a poco li avrebbe travolti.
Poco ci è voluto a convincere, anche i meno tecnologici, ad aprire un proprio profilo e a postare essi stessi le foto dei loro piatti, trattandole però con tutte le attenzioni e gli accorgimenti tecnici del caso dando vita a quel fenomeno che gli addetti ai lavori chiamano dello “Story Telling”.

Di cosa si tratta esattamente?

Lo Story Telling è la narrazione, più o meno autentica, della propria attività professionale mediante la pubblicazione periodica e sistematica d'immagini e video ammiccanti, corredate da testi evocativi, con cui l’autore cerca di condividere con il proprio pubblico momenti “topici” della propria quotidianità, con l’obiettivo di catturare l’attenzione di una platea sempre più ampia di “followers” e magari trovare tra questi anche qualche cliente.

La portata di questo fenomeno ha rappresentato una vera e propria rivoluzione, in particolare nel settore della ristorazione.

Mostri sacri della cucina internazionale, che mai avrebbero pensato che un giorno avrebbero dovuto competere con acclamati food-blogger da milioni di followers, sono dovuti correre anch’essi ai ripari, assoldando le migliori agenzie di comunicazione e riprendersi la notorietà che gli era dovuta dopo decenni di carriera ma questa volta a suon di shooting fotografici ed estenuanti riprese video per sfornare post a raffica e finalmente colmare il terribile gap comunicativo che li stava penalizzando.

In questa lotta senza quartiere allo scatto più invitante e del post acchiappa like, chi non sa stare al gioco è destinato all’oblio più totale.
Che tu faccia il ristoratore da generazioni o che spadelli per gioco nella cucina di tua mamma, non fa più alcuna differenza.

Non ti sai raccontare sulla piazza virtuale?
Ergo, per il consumatore medio del mondo gastronomico digitale, semplicemente non esisti.

Allo stesso modo, chi invece prende alla lettera l’esigenza di questa nuova strategia promozionale incorre in un rischio ancora più grande: quello di ridicolizzare il proprio lavoro e magari la propria reputazione in nome di una narrazione disgustosamente ammiccante in cui non c’è più alcuna traccia di personalità o autenticità.

Seguire questa strada, senza alcuno spirito critico, solo perché oggi così si fa, significa inevitabilmente perdersi nel frastuono bulimico d'immagini, parole e suoni di cui i social si ingolfano e dove sono veramente pochi quelli capaci d'interrompere lo scrolling compulsivo del lettore di turno.

La morale della favola? Non la conosco.

So solo che anche io vivo questo genere di dinamiche e che sempre più spesso mi inducono il volta stomaco.

Posto? o non posto? Questo è il dilemma.

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